Pubblico impiego privatizzato: la prova del danno da perdita di chance del lavoratore a seguito di procedura concorsuale illegittima.

(Cassazione, Sez. Lavoro, 23.9.2024, N. 25442)

il risarcimento del danno da c.d. perdita di “chance” non segue automaticamente a una procedura concorsuale illegittima, ma va individuato nella sussistenza di elevate probabilità di esito vittorioso della selezione, la cui prova, anche presuntiva, non può essere integrata dall’esistenza di probabilità pari tra i vari concorrenti alla selezione di conseguire il risultato atteso, occorrendo che si dimostri il nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale e il suddetto danno in termini prossimi alla certezza

(Cass. Civ., Sez. Lav., 25442/2024)

Con sentenza n. 25442 del 23.9.2024 la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance, derivante dall’illegittimità dell’iter di conferimento di un incarico dirigenziale.

Con l’espressione “perdita di chance” s’intende il mancato conseguimento di un vantaggio o di un’utilità a causa di un fatto illecito. Per identificare i casi in cui il nostro ordinamento – con l’apporto della Giurisprudenza – considera risarcibile un danno da perdita di chance, bisogna comprendere quale sia la giusta “gradazione” del nesso di causalità tra l’illecito commesso e il pregiudizio che si ritiene sofferto.

Semplificando estremamente: (a) quando il nesso di causalità si traduce nella certezza del conseguimento dell’utilità in ipotesi di assenza del fatto illecito, si parla di “lucro cessante”; (b) se, invece, la realizzazione del risultato utile appare come una mera e astratta possibilità, ciò costituisce una semplice aspettativa di fatto, come tale non risarcibile; (c) quando, infine, il conseguimento del vantaggio si rappresenti come altamente probabile in ragione di un giudizio prognostico formulato ex ante, è configurabile la perdita di chance risarcibile.

Ne consegue, dunque, che la risarcibilità del danno da perdita di chance si risolva – di fatto – nella corretta formulazione del giudizio prognostico da parte del danneggiato che, nei termini del “più probabile che non”, deve dimostrare che, in assenza del fatto illecito, avrebbe conseguito con alto grado di probabilità l’utilità pretesa.
In tal senso la Giurisprudenza della Cassazione ha avuto modo di esprimersi numerose volte indicando, quale corretto collocamento dell’asticella sulla scala delle probabilità, quello dei gradini più elevati, prossimi alla certezza.

Il caso affrontato di recente dalla Corte di Cassazione si occupa proprio della perdita di chance che un lavoratore, partecipante ad una procedura concorsuale per l’ottenimento di una carica dirigenziale pubblica, avrebbe sofferto in ragione di un vizio procedimentale nell’iter di conferimento dell’incarico.

In primo luogo, la Corte ritiene sussistente il fatto illecito rilevando che l’Amministratrice datrice di lavoro non ha proceduto a compiere – ed adeguatamente motivare in merito – le valutazioni comparative tra i candidati che avrebbero dovuto condurre alla scelta del vincitore. L’Amministrazione, infatti, si è limitata ad affermare, in sede di conferimento dell’incarico, che il candidato selezionato “presenta tutti i requisiti richiesti per l’ottimale svolgimento dell’incarico, desunti dal titolo di studio, dalle specializzazioni, dall’esperienza professionale e dalla formazione manageriale“.
Sul punto, la Corte ricorda che i criteri previsti dalla legge per l’attribuzione degli incarichi dirigenziali (art. 19, comma 1, D. Lgs. 165/2001) devono essere valutati sia alla luce clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), sia nel pieno rispetto di quei principi, previsti dall’art. 97 della Costituzione, che regolano l’agire amministrativo, tra i quali assumono particolare rilievo i canoni di “imparzialità”, “efficienza” e “buon andamento”. Da ciò – prosegue la Corte – deriva l’onere per l’Amministrazione di procedere a valutare comparativamente i candidati, adottando adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e illustrando in motivazione le ragioni giustificatrici delle scelte.

Accertata la sussistenza del fatto illecito, la Corte si trova quindi a compiere il giudizio prognostico, con l’obiettivo di verificare se il nesso tra fatto illecito e danno sia sufficientemente “forte” da giustificare una diritto per il partecipante (perdente) al risarcimento del danno e, in caso affermativo, procedere alla quantificazione di quest’ultimo.
In proposito, i Giudici romani individuano i due seguenti passaggi logici:
1) in primo luogo, bisogna valutare se gli elementi offerti dal lavoratore permettano di ritenere sussistente una concreta e non meramente ipotetica probabilità dell’esito positivo della selezione;
2) in caso di esito positivo, bisogna dunque valutare equitativamente il danno in relazione al canone probabilistico riferito al risultato utile perseguito.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto non sufficiente, al fine dell’individuazione di una perdita di chance risarcibile, la mera sussistenza di eguali possibilità di vittoria da parte di tutti i partecipanti alla procedura, affermando la necessità, per il presunto danneggiato, di fornire prove che permettano di collocare la probabilità della sua vittoria maggiormente prossima alla certezza, ossia, per esempio, fornendo al Giudice elementi atti a meglio qualificarlo rispetto agli altri concorrenti: elementi in grado di dimostrare che, qualora fosse stato correttamente adempiuto l’onere di comparazione dei candidati da parte dell’Amministrazione, il candidato avrebbe avuto alte – ancorché non certe – probabilità di essere selezionato. Stante, quindi, l’insufficiente grado di probabilità accertato nel caso in discussione, la Corte non ha ritenuto risarcibile il danno da “perdita di chance” lamentato dal lavoratore.

La Corte, in proposito, ha espresso il seguente principio di diritto:

il risarcimento del danno da c.d. perdita di “chance” non segue automaticamente a una procedura concorsuale illegittima, ma va individuato nella sussistenza di elevate probabilità di esito vittorioso della selezione, la cui prova, anche presuntiva, non può essere integrata dall’esistenza di probabilità pari tra i vari concorrenti alla selezione di conseguire il risultato atteso, occorrendo che si dimostri il nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale e il suddetto danno in termini prossimi alla certezza