La giusta causa di licenziamento fra Codice Civile, contrattazione collettiva e valutazioni del Giudice (Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, sentenza 7 aprile 2021 n. 9304 )
Il licenziamento per giusta causa è disciplinato dall’articolo 2119 del Codice Civile. La formulazione in termini evidentemente “elastici” di questa norma riserva al giudice un ampio margine di manovra nella verifica concreta della sussistenza o meno della “giusta causa”. La norma codicistica recita che «ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto […] qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto».
In termini pratici: il Giudice, reso edotto dello stato di fatto concernente il caso concreto, è chiamato ad effettuare, in applicazione della norma citata, un giudizio di valore sulla gravità dell’inadempimento dedotto dal datore di lavoro ritenendolo, se del caso, determinante rispetto alla prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
Parallelamente al dettato codicistico, è prassi delle parti sociali inserirei nei CCNL ipotesi specifiche di inadempimenti integranti la “giusta causa”, che si pongono necessariamente in relazione con la valutazione del giudice prevista dall’art. 2119 Cod. Civ.
La sentenza della Cassazione Civile (Sez. Lavoro), n. 9304 del 7 aprile 2021, chiarisce il rapporto che intercorre tra la norma del Codice e le ipotesi eventualmente oggetto di contrattazione collettiva, ritenendo meramente esemplificativo il valore di tali ultime ipotesi. Così, la Corte afferma che «il giudice […] non [è] soggetto ad alcun vincolo derivante dalla tipizzazione contrattuale collettiva di “giusta causa”», sancendo l’inidoneità di tali fattispecie specifiche a limitare l’operatività della norma generale del Codice.
La Corte prosegue, poi, individuando in tutte quelle previsioni dei CCNL che , a fronte di uno specifico inadempimento, prevedono l’applicazione di una sanzione conservativa (cioè non espulsiva del lavoratore), l’unico limite che possa veramente vincolare il giudice: in questi casi egli non può esaminare autonomamente il comportamento del dipendente in termini di maggior gravità, dovendosi attenere alla valutazione operata in astratto dalla contrattazione collettiva con la previsione dell’ipotesi specifica.
La ratio di una simile decisione è da leggersi nell’accento che la Suprema Corte pone sul carattere di elasticità della lettera dell’articolo 2119 cod. civ.: questa flessibilità si giustifica con l’esigenza che una norma di tale portata abbia una duratura applicazione nel tempo. Essa è stata pensata nell’ottica di poter essere plasmabile di fronte alle varie esigenze che di volta in volta, in un determinato contesto storico-sociale, sottostanno al rapporto di lavoro. Di conseguenza, non è ragionevole pensare che i CCNL possano avere il potere di limitare l’applicabilità del licenziamento per “giusta causa” mediante la tipizzazione, in un numero chiuso, di specifiche ipotesi, a meno che – come si è visto – per quelle ipotesi, le parti sociali abbiano inteso escludere tout court il licenziamento sanzionatorio.
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